Tra i vari strumenti con i quali le imprese cercano di motivare e rendere più produttivi i dipendenti c’è senza dubbio il premio di risultato, vale a dire il pagamento di una quota aggiuntiva di stipendio che viene corrisposta solo se i lavoratori raggiungono gli obiettivi fissati dall’azienda. Dal punto di fiscale e previdenziale è una forma di retribuzione a tutti gli effetti e su di esso il datore paga i contributi previdenziali e il dipendente le tasse come sul resto dello stipendio. Tuttavia, è prevista una tassazione agevolata per le somme erogate come premio di risultato: su queste il lavoratore paga una aliquota Irpef del 10% e non quella ordinaria. L’agevolazione però spetta unicamente a determinate condizioni:

  • La quota di premio che può essere tassata con aliquota del 10% non può superare i 4000 euro
  • Per beneficiarne il dipendente deve aver dichiarato nell’anno precedente un reddito lordo non superiore ad 80.000 euro
  • Il lavoratore deve dipendere da una ditta privata
  • Il premio deve essere previsto in un accordo sindacale tra azienda e organizzazioni sindacali
  • La corresponsione è legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, misurabili e verificabili

La legge n.208/2015 ha introdotto una grossa novità, ossia la possibilità di convertire i premi di risultato in welfare, purché ciò sia espressamente previsto dalla contrattazione collettiva e sia frutto della libera iniziativa del lavoratore. In questo caso il valore del premio convertito è escluso dal reddito da lavoro dipendente.

Successivi interventi normativi sono andati a ridefinire il valore massimo del premio detassabile e le soglie reddituali per l’attuazione di tali benefici ai lavoratori, ad oggi infatti l’agevolazione si può applicare ai premi entro il limite dei 3000 euro purché il lavoratore destinatario abbia un reddito non superiore a 80.000 euro. Inoltre nell’ipotesi in cui il premio di risultato sia erogato sotto forma di contribuzione alla previdenza complementare o a casse aventi esclusivamente fini assistenziali, è previsto che tali erogazioni in natura non concorrano alla determinazione del reddito di lavoro dipendente anche se effettuate in misura superiore ai limiti previsti dalle disposizioni.

L’emergenza Covid ha causato un grande sconvolgimento dei mercati e poche aziende sono riuscite a raggiungere gli obiettivi, in termini di risultati, che si erano poste all’inizio dell’anno, anche e soprattutto, ai fini della detassazione del premio di risultato. La soluzione ideale, ma inapplicabile, sarebbe stata inserire tra gli interventi emergenziali la sospensione, per il 2020, del requisito dell’incrementalità, per fruire dell’agevolazione fiscale sui premi della legge 208/2015. Come detto, questa strada resta impraticabile poiché stravolgerebbe la ratio della norma ma l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 36/E/2020 sembra essere intervenuta con un’alternativa percorribile. Il documento sembra ammettere infatti interventi ex post sull’accordo relativo al premio di risultato al fine di riconoscere la tassazione agevolata almeno sulla parte di premio che verrà erogato.

  • Per gli accordi non ancora sottoscritti per il 2020: vista l’estrema variabilità dei parametri economici dovuti alla crisi epidemiologica non è possibile al momento della sottoscrizione conoscere l’andamento dei valori individuati e quindi permette di detassare interamente il premio.
  • Per gli accordi pluriennali o già sottoscritti: sembra possibile intervenire con intese integrative che inseriscono nuovi parametri che tengono conto della diversa organizzazione del lavoro caratterizzante questo periodo di emergenza.

È importante inoltre ricordare che, tra i possibili indicatori da utilizzare per la misurazione dell’incremento dell’efficienza dell’organizzazione aziendale, è previsto anche il tasso di dipendenti in lavoro agile, modalità molto utilizzata nell’arco di questo anno e che presumibilmente vedrà un incremento nel futuro.

 

Di Ilaria Bernacci