UNO SGUARDO SULLE OPPORTUNITA’ IN TEMA DI WELFARE ASSICURATIVO 

Di Giacomo Pierozzi  (Gianostudionet)

 

Uno dei comparti da tenere in debita considerazione per un completo e diversificato piano di welfare è senza dubbio quello assicurativo/previdenziale.

Esso rappresenta invero una tipologia non di immediato appeal per il lavoratore in quanto – diversamente da altri strumenti, che sono di maggiore impatto e di immediata tangibilità economica –   queste forme di welfare sono legate ad una aleatorietà di eventi oppure ad una “utilità di prospettiva” che si concretizza solo nel lungo termine.

In tal senso il welfare assicurativo mal si concilia ad esempio per gestire una premialità per obiettivi su base annuale a cui siano magari legati plafond di importo contenuto; situazioni nelle quali da una parte il lavoratore nutre forti aspettative di realizzo reddituale e dall’altra l’azienda non ha in animo di investire risorse tali da attuare una forte diversificazione, dovendo pertanto concentrare “l’investimento” su quel welfare di maggiore ed immediata appetibilità.

Aggiungasi che l’area della previdenza complementare, (e più recentemente quella della assistenza sanitaria), è divenuta, in maniera strutturale, terreno negoziale fra le parti sociali a livello nazionale.

Ciascun CCNL propone il proprio Fondo chiuso di previdenza integrativa alla cui adesione, su base volontaria, è spesso correlato il beneficio di una contribuzione aggiuntiva a carico dell’azienda, grazie alla quale  “vince” nella maggior parte dei casi la concorrenza con i fondi aperti di adesione individuale.

Da  epoca più recente, in molti settori produttivi e del terziario, i CCNL dispongono invece l’assistenza sanitaria integrativa non più per adesione volontaria ma in modo vincolante per tutti i lavoratori.

Una scelta virtuosa ma anche una astuta mossa strategica per cercare di favorire il decollo dell’assistenza integrativa; superando infatti la volontarietà della adesione, il mondo sindacale e datoriale ha tentato di uscire da un “cul de sac” per il quale da una parte i  lavoratori non aderivano ai fondi perché il servizio offerto e le coperture garantite erano di scarsa qualità; e dall’altra, i fondi offrivano scarse coperture e servizi di bassa qualità perché i lavoratori non vi aderivano!

Ciò nonostante, sul versante sanitario, i margini per piani di welfare su base aziendale sono ancora discreti in quanto il mercato assicurativo offre ancora prodotti di maggiore qualità ed efficacia in termini di copertura rispetto a certi  fondi negoziali.

Tornando sul piano delle strategie aziendali, il welfare assicurativo rappresenta invece un ottima ed apprezzabile “leva” nell’ambito di una politica di welfare di più ampio respiro, da legare non tanto ad obiettivi annuali quanto alla fidelizzazione di alcune categorie di maestranze ad alta criticità in una logica di rafforzamento del senso di appartenenza alla azienda.

Sono abbastanza noti sotto il profilo fiscale i vantaggi  in termini di deducibilità degli strumenti di  previdenza complementare e di assistenza sanitaria. (euro 5.140 per la prima tipologia; euro 3.615 per la seconda).

Meno conosciuti sono invece i prodotti “nuovi arrivati” della gamma, in tema di sostegno alla non autosufficienza e su cui mi voglio soffermare nella seconda parte di questo mio contributo.

“Non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie.

È quanto previsto dall’articolo 1, comma 161, della legge di Bilancio 2017, che inserisce al comma 2 dell’art. 51 del TUIR una nuova ipotesi di welfare detassato prevista dalla nuova lettera f-quater, e sui cui la Circolare n.5 del 29 marzo 2018  dell’Agenzia delle Entrate ha dato chiarimenti e linee di indirizzo.

Sono assimilabili alla prima tipologia le polizze atte a garantire una copertura assicurativa per situazioni di non autosufficienza del dipendente che richiedono generalmente il sostenimento di spese per lunga degenza (cd polizze “Long Term Care”), e dunque sono volte a far fronte a tali spese.

Appartengono invece alla seconda categoria le polizze dirette a garantire una copertura assicurativa contro il rischio di insorgenza di malattie particolarmente gravi (cd polizze “Dread Disease”), e si concretizzano generalmente nella erogazione  di un capitale al verificarsi dell’evento.

Relativamente alla stipula di polizze “Long Term Care”, i soggetti considerati non autosufficienti sono coloro che non sono in grado di compiere gli atti della vita quotidiana quali, ad esempio, l’assunzione di alimenti, l’espletamento delle funzioni fisiologiche e di igiene personale, la deambulazione, la vestizione  ovvero coloro che necessitano di sorveglianza continuativa; ci si riferisce pertanto alla definizione di” non autosufficienza” data a suo tempo dal legge n. 104/1992.

Per le polizze cosiddette “Dread Disease”, mancano invece indicazioni normative volte a delimitare la nozione di  “grave patologia”; l’Agenzia delle Entrate indica quale possibile riferimento l’elenco delle malattie professionali per le quali è obbligatoria la denuncia all’Ispettorato del lavoro. (art 139 del DPR 1124/1965 e relative Tabelle di cui al D.M. 18 Aprile 1973 e s.m.i. )

Anche prima dell’entrata in vigore della legge di Bilancio 2017 era astrattamente possibile per il datore di lavoro riconoscere contributi o premi per garantire ai dipendenti una copertura assicurativa del tipo Long Term Care o Dread Disease; ma questi rientravano nel generico “contenitore”  dei “258 euro”.

In  parole più tecniche, costituivano reddito di lavoro dipendente sul quale calcolare contributi previdenziali e Irpef, a meno che detti contributi o premi non fossero annualmente inferiori all’importo di euro 258,23 (art. 51, comma 3, TUIR).

Molto probabile pertanto che detta contribuzione finisse per essere tassata per incapienza del tetto deducibile in quanto, come è noto, ricadono in detta franchigia tutti gli  altri beni o servizi genericamente definibili.

Con la previsione della lettera f quater, dal 2018 lo strumento è pertanto uscito dalla “genericità”, godendo di deducibilità illimitata.

L’Agenzia delle Entrate ha precisato inoltre che la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente prevista per i contributi versati ai sensi della lettera f-quater si realizza sempreché gli stessi siano destinati all’erogazione di prestazioni in favore del dipendente e non anche dei suoi familiari, a prescindere se a carico o meno.

Pertanto, laddove la polizza garantisca prestazioni sia al dipendente che ai familiari, occorrerà scorporare la quota riferita alla posizione dei familiari, che potrebbe costituire reddito di lavoro dipendente salva la franchigia di euro 258,23 di cui si è già detto.

Si rammenta infine il requisito generale ai fini della deducibilità, che connota un po’ tutte le forme di welfare;  vale a dire la sua destinazione a favore della generalità o di categorie di dipendenti e non come benefit “ad personam”.